Bolivia

L’8 di Novembre ho preso un bus, della compagnia boliviana Trans Copacabana, da Puno (Perù), diretto verso il centro governativo della Bolivia, La Paz. Circa cinque minuti dopo la partenza mi accorsi che pioveva dentro, esattamente sopra il mio sedile e la mia testa. L’acqua era filtrata nel soffitto del bus la notte precedente, ed ora gocciolava da una fessura su di me, e sui piedi dell’uomo seduto dietro di me. Dopo averlo comunicato all’autista per tre volte nel giro di un’ora, il suo aiutante mi diede un nastro adesivo per tappare la fessura. Mai si sarebbero fermati per risolvere il problema.
Nel frattempo l’acqua aveva iniziato a gocciolare in testa a molta altra gente, correndo lungo la fessura del soffitto. Dopo qualche minuto riuscimmo a fermarla tappezzando il soffitto di nastro adesivo.
Questo è stato il primo assaggio di “Bolivia”.
Qualche ora dopo arrivai a destinazione, passando per El Alto, la città che sorge in cima alle colline che circondano la vallata di La Paz. Avevo già visto foto di La Paz su internet, ovviamente, ma dal vivo fu assolutamente impressionante vedere quella quantità assurda di case ed edifici, arroccati l’uno sull’altro per tutta la valle, a perdita d’occhio.
Arrivati al Terminal de Buses, però, le cose iniziarono a sorprendermi. La città in centro era bella. Dopo essere stato in alcune “brutte” città peruviane (Puno e Huaraz su tutte), mi aspettavo disordine e sporcizia in Bolivia, visto che è molto più povera del Perù.
Invece mi accorsi subito che il mio pregiudizio era sbagliato, come spesso sono i pregiudizi. Certo, c’era casino, le strade non erano ordinate come nelle moderne città viste in Australia o Nuova Zelanda, ma La Paz mi apparve subito molto simile alle grandi città del vecchio continente.
Il viale centrale che dal Terminal andava verso sud – verso il mio ostello, nel quartiere di Sopocachi – era largo e pulito, con palazzi decenti da contorno, e nel mezzo un grande spartitraffico con giardini, alberi, panchine e persone che passeggiavano.
Sopra di me passavano le varie cabine del Teleferico, la modernissima linea funicolare allestita da un’azienda austriaca pochi anni fa, che portavano boliviani e turisti in lungo e in largo per tutta l’aerea metropolitana, con sette diverse linee per altrettanti diversi colori per distinguerle (ogni corsa costa 3 Bs = 0,40 € circa).
Nei tre giorni in città perlustrai l’area a piedi, e con lo stesso Teleferico, spingendomi fino a El Alto per osservare la città dall’alto, con le colline che diventavano montagne e poi addirittura Ande sullo sfondo, fino al picco della bellissima montagna Illimani (6.462 m).
La Paz è considerata la più alta metropoli del mondo, sorgendo a più di 3.600 m, detenendo di conseguenza il primato per molte cose “più alte del mondo”, come il pub più alto, lo stadio più alto, il Burger King più alto, e così via. La città comunque risulta visibilmente più povera più si va verso nord e verso il quartiere di El Alto. Quassù sì che il degrado prevale, e così l’enorme quantità di persone, cani randagi, vicoli maleodoranti e venditori ambulanti.
Tornando al centro, invece, si nota che è ricco di musei, belle piazze (in particolare Plaza Murillo), la grande chiesa di San Francisco – che da fuori non è niente di che, e dentro non ne ho idea – e la pittoresca Calle Jaen. C’è poi il cosiddetto “Mercato delle Streghe”, (così chiamato per via dell’antica vendita di spezie), che altro non è che un piccolo vicolo pieno di bancarelle, ormai dedicate ai gadget per turisti e qualche oggetto artigianale.
Ho lasciato la città dopo tre giorni per raggiungere Cochabamba, città gemellata con la “mia” Bergamo, nella quale si trova una delle statue più grandi del mondo, il Cristo de la Concordia, che con i suoi 34,20 metri di altezza (a cui si aggiunge una base di oltre 6 m) supera anche il più famoso Cristo Redentore di Rio de Janeiro.
Il bus partito alle 8:30 da La Paz sarebbe dovuto arrivare alle 15, ma si è rotto a metà strada. Così ci ha scaricati e, dopo quindici o venti minuti, un furgone di passaggio ha caricato alcuni di noi e ci ha portati a Cochabamba, lasciando gli altri ad aspettare altri furgoni o passaggi.
Sono arrivato in città molto più tardi del previsto, e avendo solo una notte in città decisi di andare velocemente in ostello per il check-in, e poi al Cristo. Camminando verso la lontana statua mi accorsi che non avrei fatto in tempo a prendere il Teleferico per salire sulla collina, quindi fermai un taxi che mi portò alla stazione di partenza. Erano le 18:08 e l’ultimo viaggio verso l’alto era alle 18. Così salii a piedi i 1.399 scalini fino alla statua del Cristo. E sono ateo. Effettivamente la statua è impressionante, e ancor più bella era la vista su Cochabamba al tramonto.
Il giorno seguente un altro bus mi portò a Santa Cruz de la Sierra, la città più popolosa della Bolivia, e anche la più moderna e occidentalizzata. Questo fatto si nota soprattutto nei prezzi e nella qualità dei locali (bar, ristoranti, pub) presenti nel centro storico, e in particolare vicino alla enorme e bellissima Plaza 24 de Septiembre.
Anche il clima, qui, cambia parecchio. Dopo il fresco Perù, e la fresca La Paz, a Santa Cruz il clima è diventato di colpo di tipo tropicale, vista anche l’enorme giungla (e Parco Nazionale) che sorge immediatamente accanto alla città, e che ho attraversato in bus da Cochabamba. Il caldo umido del giorno, a cui non ero abituato da quasi un anno, mi ha fatto boccheggiare per qualche ora, ma tutto sommato lo preferivo al freddo delle Ande peruviane.
Il mio piano per quei giorni era quello di trovare un tour con il quale visitare il Parco Nazionale Amborò (non è possibile accedervi senza una guida certificata), pernottando un paio di notti nella foresta, per poi poter ammirare piante ed animali mai visti prima (da me, almeno). Purtroppo, essendo bassa stagione, non c’erano persone disponibili a condividere il tour in quelle date, ed il prezzo per andare in solitaria con la guida si aggirava intorno ai 700 USD (con sei persone il prezzo sarebbe diventato 180 USD a testa), perciò lasciai perdere a malincuore, tenendo a mente il costoso obiettivo principale del mio viaggio, che è raggiungere la “Fin del Mundo”, Ushuaia.
In ostello conobbi però un paio di ragazze italosvizzere, M. e S., con cui mi sono recato alle rovine Inca di Salmaipata, a due ore da Santa Cruz. Dopo due giorni di sole e caldo in città, quel giorno piovve, parecchio. Tanto che sulla strada incontrammo un fiume che aveva deciso di averne abbastanza dei suoi argini. Il pingue autista riuscì ad uscire dall’acqua con qualche abile manovra, e ci riportò sani e salvi in città. La cittadina di Samaipata mi parve molto carina, anche se ci restammo solo poche ore, comprese le due ore di visita a El Fuerte, le rovine Inca poco distanti di cui sopra. Il sito è di notevoli dimensioni, e piuttosto ben tenuto, con un percorso a senso unico che si snoda in mezzo alla città in rovina, ma non è lontanamente paragonabile a Machu Picchu.
Salutate le due simpatiche compagne di viaggio provvisorie, il giorno seguente presi l’ennesimo bus, questa volta per quindici ore di viaggio per raggiungere la capitale della Bolivia: Sucre.
Sucre non solo è la capitale boliviana, ma è anche la città più bella del Paese e, a mio avviso, la città più bella vista in Sudamerica (tra Perù e Bolivia).
Il centro della piccola città è tranquillo, pulito, ben tenuto, e bianco. Tutti gli edifici del centro storico sono tinteggiati di bianco, e pare sia obbligatorio ritinteggiarli ogni anno e mantenerli immacolati. Tutto ciò perché fin dai primi anni ’90 la città è Patrimonio dell’Umanità UNESCO, e tale vuole restare.
Molto carino il mercado, dove si possono trovare alimenti di ogni tipo, tra cui due delle pietanze sudamericane preferite da me e altri vegetariani: le empanadas de queso (3 Bolivianos l’una) e le deliziose cuñape, delle palline di pasta ripiene di formaggio, che costano 1 Bs l’una (1 Bs = 0,12 € o 0,21 NZD).
Come sempre non manca la bella piazza centrale, che qui si chiama Plaza 25 de Mayo, con la sua Cattedrale e la “Casa de la Libertad”, dove fu firmata l’Indipendenza dalla Spagna nel 1825.
Notevoli, sia per qualità estetica che di menù, anche i pub e ristoranti che pullulano nel centro storico, sia per carnivori che per vegani e vegetariani. Questo è eccezionale, perché in Bolivia è quasi impossibile trovare ristoranti che non cucinino pollo, o comunque carne. Su dieci ristoranti in cui ci si imbatte camminando per le loro città, 9 sono “pollerie”.
Dopo due giorni nella bellissima Sucre mi sono diretto verso la mia ultima tappa boliviana, ovvero la città di Uyuni.
Uyuni è famosa esclusivamente per essere il punto d’accesso al famosissimo Salar de Uyuni, la più grande distesa di sale al mondo, con una superficie di 12.000 kmq, visibile anche dallo Spazio.
Ovviamente anche io ero lì per quello, che era nella mia “bucket list” da almeno cinque anni. Avevo prenotato due notti in un ostello, visto che il mio bus arrivava in città alle 18, e mi ero ripromesso che la mattina seguente avrei cercato un tour del Salar della durata di tre giorni, che mi portasse infine in Cile.
Così feci, ma capitai casualmente in un’agenzia in cui mi dissero che da lì a mezzora sarebbe partito un tour con la guida in inglese, e l’indomani invece sarebbe stato solo in spagnolo. Inoltre, pur di riempire il fuoristrada all’ultimo momento, mi avrebbero fatto uno sconto di 200 Bs, portando il prezzo totale a 1.070 Bs (cioè 136 €, o 230 NZD, compreso il trasferimento oltre confine). Accettai subito, corsi in ostello a prendere gli zaini, pagai la notte appena trascorsa e saltai sul fuoristrada in partenza.
Sul veicolo c’era l’autista boliviano, la guida boliviana (che parlava un ottimo inglese e anche un po’ di italiano, per aver vissuto dieci anni in Europa), due ragazze inglesi, C. e J., e una coppia di ricchi sessantenni ungheresi, nel bel mezzo del loro giro del mondo.
Con questo strano team partimmo alla volta del Salar, fermandoci come prima tappa al Cimitero dei Treni, poco fuori città. Da lì le tappe furono molte, così come le ore di guida nel deserto boliviano, dove mi perdevo a osservare il paesaggio incredibile dal finestrino. Subito dopo raggiungemmo la città di Colchani, dove raffinano e impacchettano il sale, il ristorante/hotel di sale, dove avemmo il pranzo (incluso nel tour) seduti ad un tavolo di sale, e poi finalmente il centro del Salar.
Per me è difficile descrivere a parole lo spettacolo naturale che mi circondava: un cielo azzurrissimo punteggiato di nuvole lontane, che si interrompeva all’orizzonte per diventare una piattissima distesa di sale bianchissimo, che continuava ininterrottamente in tutte le direzioni intorno a noi. La macchina poteva correre ovunque senza badare a strade o sentieri, permettendoci di rimanere lontani da tutti gli altri fuoristrada che correvano di qua e di là, carichi come il nostro di zaini e turisti. Restammo fermi una mezzora a scattare foto, ascoltare le spiegazioni della guida, e giocando con la prospettiva e alcuni oggetti con cui abbiamo interagito.
Nel pomeriggio ci recammo all’Isola Incahuasi, che sorge in mezzo al Salar ed è coperta esclusivamente da cacti (o cactus). Ovviamente il salar era stato un mare, milioni di anni fa, ormai evaporato. La prova sta nella geologia di queste isole che lo punteggiano, come Incahuasi, che sono formate da coralli calcificati.
Dopo un tramonto mozzafiato sul Salar ci recammo all’ostello di sale poco distante, già fuori dal salar, dove pernottammo la prima notte.
Il giorno seguente il Salar era ormai alle nostre spalle per sempre, ma il tour continuò in mezzo al deserto dell’Altiplano Boliviano, dove vedemmo una necropoli di civiltà precolombiane con un paio di mummie, numerose lagune popolate da fenicotteri, e altri desertici paesaggi lunari. Il secondo giorno si concluse all’incredibile Laguna Colorada (o Laguna Rossa), così chiamata per i vari colori dati da alghe e microorganismi che la abitano, insieme a una grande popolazione di fenicotteri e qualche lama.
Dopo un’altra notte in una sistemazione assolutamente elementare nel deserto, il giorno seguente, l’ultimo, ci recammo prima a vedere degli spettacolari geyser, a quasi 5.000 m di altitudine, per poi attraversare il Deserto di Dalì, e raggiungere la Laguna Verde, sotto l’imponente vulcano Licancabur.
Appena oltre il vulcano ci ritrovammo alla frontiera cilena, che avremmo oltrepassato nel giro di un paio d’ore, in direzione San Pedro de Atacama, cittadina situata nell’omonimo deserto cileno.
Il mio veloce passaggio in Bolivia era finito qui, per questa volta.
Giorni totali: 13
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Pernottamenti: 481 Bs 61 € – 102 NZD
Bus: 578 Bs 73,5 € – 123 NZD
Taxi/Uber/Teleferico: 193,5 Bs 24,6 € – 41 NZD
Cibo: 677,5 Bs 86 € – 144 NZD
Tour: 1353 Bs 172 € – 288 NZD
Extra: 322 Bs 41 € – 68,5 NZD
Spesa Totale: 3.605 Bs 458 € – 767 NZD
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