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"Non viaggio per scappare, ma per scoprire"

Cambogia e Bangkok

Da Ho Chi Minh abbiamo preso un bus che ci avrebbe portati a Phnom Penh, capitale della Cambogia.

La prima cosa che balza all’occhio, anzi all’orecchio, quando si attraversa il confine, è l’improvvisa quiete.

I cambogiani, a differenza dei vietnamiti, non suonano il clacson costantemente. Ad Hanoi, ad un certo punto, ho pensato che i loro mezzi andassero a forza di clacson e non di acceleratore, non mi spiegavo altrimenti quel continuo e fastidioso bip.

Arrivando nella capitale cambogiana siamo passati in un quartiere ricco, ordinato, con case ed auto lussuose, e pieno di polizia. Poi però il bus ci ha lasciati davanti al Russian Market, dove orde di tuk-tuk (in Cambogia non esistono i taxi) ci hanno assaliti e uno di loro ci ha convinti a sceglierlo, per farci portare al nostro ostello, e lì mi sono ricordato di essere ancora in Indocina.

La prima cosa che ci ha detto il guidatore di tuk tuk è stata quella di tenere ben saldi gli zaini e le macchine fotografiche, perché gli scippi ai danni dei turisti sono molto frequenti anche in centro, di giorno, a bordo dei tuk tuk. Bene.

Nel Regno di Cambogia la moneta ufficiale è il Riel, ma di fatto viene usato costantemente il Dollaro americano, che è possibile anche prelevare agli ATM. I pagamenti avvengono tutti tramite Dollaro e il Riel viene usato più che altro per i resti, visto che non vengono usate le monete americane dei centesimi. La banconota da 2 $ non è accettata in Cambogia (non so il motivo), ma alcuni venditori cercheranno di darvela come resto in alcuni acquisti (per liberarsene, visto che da loro non ha valore). Potete ovviamente prenderla, ma sappiate che non vi servirà a nulla finché resterete nel Paese.

Phnom Penh è una città che conta circa 1.5 milioni di abitanti, niente a che vedere con gli 8 milioni di Hanoi o Saigon, e di conseguenza risulta all’apparenza più ordinata anche se, come già detto, dipende dai quartieri. La sporcizia e la presenza di rifiuti è comunque elevata – come in tutta quella regione del mondo – e qui forse c’è più criminalità che in Vietnam. A noi non è mai successo nulla, ma tante persone diverse, dai guidatori di tuk-tuk all’ostellante, ci hanno detto più volte di stare attenti agli scippi e tenere sempre gli occhi aperti.

In Vietnam non ce n’era bisogno.

Subito il primo giorno abbiamo assaggiato il piatto nazionale cambogiano, l’Amokh, che consiste in un pesce cotto al vapore, speziato con curry e servito avvolto in una foglia di banano. Delizioso.

Anche qui un pasto completo costa relativamente poco, ma leggermente più che in Vietnam. Comunque sia il budget giornaliero per ostello, colazione, pranzo e cena può aggirarsi tranquillamente sui 20-25 $.

I guidatori di tuk-tuk parlano tutti un ottimo inglese e fanno da “guide turistiche” mentre ti portano in giro per la città. Noi abbiamo conosciuto uno di questi personaggi che, appena ha saputo che eravamo italiani, ha detto di chiamarsi “Emilio”. Per ogni nazionalità aveva in serbo un nome diverso, ovviamente.

Comunque sia Emilio ci ha portati a fare un giro di tutta la città, facendoci visitare alcuni templi, tra cui quello delle scimmie, e un villaggio di pescatori, il tutto condito con i suoi racconti pieni di dettagli, sulla storia della città e della civiltà Khmer. Spesa totale per quattro persone: 10 $.

Il giorno seguente ci siamo recati finalmente a Siem Reap (11 ore di bus), porta d’accesso per visitare i famosi templi di Angkor Wat, e la città imperiale di Angkor Thom (al cui interno ci sono altri templi splendidi, come Bayon e Baphuon).

Per me è stato il punto forte di questo veloce viaggio in Asia. Davvero emozionante mettere piede in questi templi che trasudano la storia dell’impero Khmer.

Angkor Wat è probabilmente il monumento più famoso di tutta la Cambogia, ed è il più grande edificio religioso del mondo. Costruito nel dodicesimo secolo, inizialmente come tempio Hindu, divenne poi un importante tempio Buddhista. Fin dal 1863 appare sulla bandiera cambogiana, facendolo diventare famosissimo a livello mondiale, con la sua caratteristica architettura Khmer.

I guidatori di tuk-tuk locali cercano di accaparrarsi i turisti, portandoli in giro dall’alba al tramonto e sconsigliando di noleggiare motorini personalmente. Si dice che per visitare tutta la zona dei templi servano almeno tre giorni.

Noi abbiamo deciso di fare di testa nostra, noleggiando due motorini e riuscendo a visitare tutto in un giorno solo, alzandoci alle 5 di mattina e tornando in ostello dopo il tramonto.

Ricordatevi di passare prima alla biglietteria che dista qualche km dai templi (con una piccola deviazione a est dalla strada principale), per fare il biglietto – che è nominativo, con tanto di foto tessera – alle prime ore del mattino, altrimenti se vi spingete direttamente fino ad Angkor senza il biglietto dovrete poi tornare indietro, perdendo quasi tutta la mattinata e sicuramente l’alba.

L’unico neo, come sempre, è la quantità spropositata di gente che visita (giustamente) questi posti magnifici, e gli abitanti del luogo che cercano costantemente di venderti TUTTO, mandando in avanscoperta i bambini che, incassato il primo rifiuto, ti chiedono direttamente almeno 1 $, così, tanto perché sei occidentale.

Li crescono in questo modo, ed è brutto da vedere. Poi, se si volesse risalire alla colpa ancestrale di questa occidentalizzazione, beh, viene troppo lunga capire chi ne ha avuta di più.

Dopo due giorni lasciammo Siem Reap per dirigerci, con un altro sleeping bus, fino alla costa sud, a Sihanoukville, un postaccio che è però il porto di partenza per le bellissime isole tropicali di Koh Rong e Koh Rong Sanloem. La zona del porto di Sihanoukville sembra creata appositamente per i backpackers; gli unici cambogiani che si vedono lì sono quelli che lavorano nelle agenzie di viaggio o sui tuk-tuk, per il resto sono tutti europei ed americani trasferitisi o in viaggio. E i prezzi sono in linea con tutto ciò.

Siamo stati cinque giorni sulla magnifica isola di Koh Rong, senza acqua calda, senza strade. Solo delle bellissime spiagge, qualche ostello decrepito con pub sulla spiaggia e dei bungalow. In cinque giorni, per una camera da quattro, abbiamo speso circa 12 € a testa. Ne vale veramente la pena.

Sono numerose anche le attività di contorno, come snorkeling, corsi di immersioni certificati PADI, camminate nella foresta e, ovviamente, anche il totale relax da spiaggia.

Pare che l’isola sia stata ceduta dal governo cambogiano a dei privati, che intendono trasformarla in un enorme resort, dotato di pista d’atterraggio, in mezzo alla giungla. Affrettatevi a vederla prima che diventi la versione asiatica di Ibiza o Sharm el-Sheik.

Dopo aver lasciato l’isola abbiamo preso l’ultimo bus, quello per Bangkok. Il viaggio è stato infinito, circa 20 ore.

La capitale tailandese è la città più trafficata al mondo, e sono stato subito d’accordo con chiunque abbia redatto quella classifica. Basti pensare che la città conta 15 milioni di abitanti, come sommare Hanoi ad Ho Chi Minh (una follia).

Ci siamo rimasti solo tre giorni, in attesa del volo di rientro per Milano, ma siamo comunque riusciti a visitare parecchi posti, tra cui spicca il tempio Wat Pho, famoso per l’enorme Buddha reclinato.

A Bangkok è molto comodo spostarsi con i traghetti sull’ampio fiume Chao Phraya; costano pochissimo e sono numerosi. Lo consiglio come metodo di spostamento principale. La città è comunque enorme e spesso è necessario servirsi di taxi, bus o tuk-tuk.

La Tailandia è decisamente la nazione più Occidentale dell’Asia (escludendo il Giappone), più ordinata e moderna, ma non priva di inquinamento e caos.

In Asia ho sempre avuto la sensazione che gli occidentali abbiano fatto un gran casino e abbiano esportato soprattutto cose negative, o forse lo diventano quando le si impiantano in paesi poveri e sovraffollati, come questi. Certo, anche gli abitanti locali stessi probabilmente non hanno fatto granché per rimanere vergini dal “progresso” occidentale, perdendo alcuni dei loro “pro” e prendendo alcuni nostri “contro”.

Si respira sempre una certa spiritualità in Asia, ma anche la voglia sempre più forte di assomigliare agli americani, ai loro film, ai loro attori e modelli. È un peccato, a mio avviso.

Anche se sicuramente loro sono più contenti di poter avere smartphone e giacche firmate, piuttosto che rimanere a coltivare riso fuori città per tutta la vita.

Il 13 ottobre presi un volo per l’Italia, che partiva dall’enorme aeroporto Suvarnaabumi di Bangkok, con scalo a Kiev. Stava finendo il mio viaggio durato più di un anno.

Sicuramente il viaggio più indimenticabile ed intenso della mia vita, grazie ai luoghi visitati, alle attività svolte e, soprattutto, alle persone conosciute lungo la strada.

Dopo 385 giorni di viaggio tra Australia ed Indocina, sono rientrato a Milano in una giornata piovosa e, dopo meno di due ore, avevo già subìto il primo ritardo di Trenitalia. Nonostante questo, ero comunque felice di ritornare a casa.

Clicca qui per vedere la galleria completa del mio viaggio in Cambogia e Tailandia!

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