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"Non viaggio per evitare le responsabilità, ma per averne di più reali"

Cile (I parte)

Viaggio nel più ricco stato Sudamericano

Arrivai a San Pedro de Atacama un paio d’ore dopo aver varcato la frontiera cilena. Il telefono non prendeva da giorni (arrivavo dal deserto boliviano), pertanto non avevo potuto prenotare alcun letto. Salutai le inglesi C. e J., che scelsero un ostello a caso sulla strada, e dopo aver cambiato i pochi soldi boliviani che mi erano rimasti riuscii a trovare un WiFi, che mi permise di risalire al nome dell’ostello che avevo già salvato su Hostelworld (Rural La Florida).

C’era posto, e la receptionist – P., italiana – mi diede subito un sacco di informazioni, tra cui quella che avrei dovuto aspettare almeno cinque giorni per poter osservare le stelle. Ovvero uno dei motivi principali per essere lì.

Il posto più arido al mondo, il Deserto di Atacama

Una delle peculiarità del Deserto di Atacama, infatti, è quella di essere il luogo più arido del pianeta. Questo clima, unito alle facili previsioni meteo, fanno sì che sia la zona prediletta per l’osservazione dei corpi celesti, addirittura ad occhio nudo (ma meglio con gli strumenti).

In quei giorni, ovviamente, c’era la luna piena, che più piena non si poteva; pertanto avrei dovuto aspettare che il satellite nostrano si dileguasse per qualche giorno – da lì a due settimane – oppure aspettare che sorgesse più tardi la sera – ovvero da lì a cinque giorni, appunto –, perché è troppo luminosa per poterti permettere di vedere gli altri oggetti astronomici.

Ci pensai e decisi di prolungare il mio soggiorno di altre cinque notti (sei totali), perché difficilmente mi sarebbe ricapitato nella vita di ripassare da lì. La decisione, infine, fu azzeccata. E non solo per le stelle.

Nei giorni a San Pedro, infatti, conobbi parecchie persone, tutte oziose come me nel mio ostello o nell’ostello gemellato al mio (Ruralito), poco distante. Particolarmente significative le conoscenze con la scozzese V., il canadese A., un’altra italiana V., e l’altissima olandese H., che si sarebbero ripresentati più tardi durante il mio viaggio.

Con loro, le due “inglesi di Uyuni”, e altri vari australiani, inglesi e tedeschi, si creò un gruppone di persone con cui mi trovai più che bene (non è facile quando sei misantropo). Soprattutto contando che sei giorni a San Pedro con poco da fare, sarebbero stati un noioso suicidio, senza queste figure.

I viaggiatori in Sudamerica sono perlopiù ragazzi over 25, addirittura più intorno ai 30 che ai 25, e questa fu una grossa differenza rispetto agli ostelli di Australia e Nuova Zelanda, dove l’età media si aggirava intorno ai vent’anni, per via dell’estrema facilità nel vivere e viaggiare in Oceania (sia per la lingua che per i servizi). Questo dato fu d’aiuto nell’evitare di incontrare ragazzini rompipalle europei, partiti con i soldi del papà il giorno dopo l’esame di maturità, per stare un anno all’estero a cercare di bere e scopare, con poco interesse nell’esplorare il paese ospite (andate in un qualunque ostello australiano per capire cosa intendo).

Per la terza volta dall’inizio del mio viaggio sudamericano (dopo G. a Huaraz e le ragazze italosvizzere a Santa Cruz), ancora una volta furono le persone incontrate casualmente a portare l’esperienza cilena su un altro livello. Un livello personale, quindi irripetibile ed intenso.

Perché chiunque può recarsi a San Pedro a vedere le stelle, o a Machu Picchu per le rovine Inca, o in qualunque altro posto del mondo. Ma nessun altro potrà rivivere allo stesso mio modo quei giorni, con quelle persone incontrate così per caso, finendo a vivere situazioni uniche – uniche nel senso proprio del termine, non in quanto “incredibili” – ed irripetibili.

Nelle interminabili ore di bus delle settimane successive, questo pensiero mi saltò in testa sempre più spesso, convincendomi che quelle situazioni – forse più dei luoghi – erano l’elemento fondamentale del viaggio. A posteriori, ovviamente.

I luoghi, per me, sono sempre stati la molla che mi ha fatto scattare, che mi ha fatto partire e ha acceso l’interesse nel viaggio. In ogni “prossimo viaggio”. Anche perché non si può (né deve) partire sperando, o credendo, di incontrare per certo tante nuove belle persone. Però, poi, questo accade in automatico quando meno te l’aspetti, ed il risultato si abbellisce magicamente. Ho imparato personalmente molto bene questa lezione in Australia.

Un’altra condizione che aiuta ulteriormente la conoscenza di nuovi persone – e di conseguenza apre le porte ad altre esperienze impreviste – è quella del viaggiare in solitaria. Viaggiando in due, tre, o più persone i contatti con gli altri “solitari” saranno per forza di cosa limitati, se non quasi annullati.

A San Pedro, quindi, mi limitai ad un tour della bellissima Vale de la Luna, con la guida che ci portò prima attraverso una grotta – dove dovemmo addirittura usare le torce –; poi in cima ad una duna imponente e molto ventosa, sulla quale quasi persi il mio prezioso cappello; ed infine ad ammirare un bellissimo tramonto sul paesaggio lunare sottostante.

Purtroppo anche la visita (gratuita!) all’Osservatorio Europeo ALMA – dove è presente il più grande telescopio del mondo – mi fu preclusa. Questa volta per via dei posti non disponibili, esauriti con mesi di anticipo.

Sarà per la prossima, già.

I giorni passarono così, nella pittoresca, piccola e bellissima arida cittadina di San Pedro, con cene, pranzi, con una festa notturna in mezzo al deserto, un festival di musica rock latina, troppe birre e, infine, l’ultima notte con l’interessantissimo “Stargazing Tour” (20.000 CLP).

Sfortunatamente non potemmo osservare la Via Lattea, in quanto sarebbe apparsa da lì a tre ore, ma sarebbe comunque stata “oscurata” dalla Luna in arrivo. Però la nostra guida – molto preparata – ci spiegò parecchie cose sulle stelle, la formazione dell’universo ed il suo “funzionamento” (per quanto se ne sappia, chiaramente). Con l’ausilio di cinque telescopi potemmo osservare nebulose, galassie, ammassi stellari, soli nascenti, eccetera. Infine ci insegnarono a riconoscere le stelle (come Orion, la più luminosa del cielo) e le costellazioni, l’utilizzo della cartina astronomica, e a come trovare facilmente il polo sud celeste.

Insomma, per 25 € non è stato affatto male.

Un’altra cosa di cui ebbi subito conferma, comunque, fu che il Cile era più costoso di Bolivia e Perù. Una notte nell’ostello da me scelto costava 9.000 CLP, ovvero 19,00 NZD (o 11 €). Circa il doppio di quanto pagavo mediamente nei due Paesi precedenti. E tutto il resto andava di pari passo.

Dopo quasi una settimana a San Pedro mi recai quindi alla capitale, Santiago. Per arrivarci decisi come sempre di non volare (troppo facile), e iniziarono i viaggi lunghi. Un bus mi portò a Calama (2 ore), e da Calama, un altro bus, mi portò finalmente a Santiago, 22 ore dopo.

Ovviamente durante questi viaggi si tratta sempre di confortevoli bus letto (o semi-letto). Mai più avrei commesso l’errore Lima-Arequipa.

La Piojera, dove si può gustare il famoso “Terremoto”

A Santiago ritrovai la ragazza scozzese V., con la quale passai il primo giorno perlustrando la città, e provando il famoso cocktail locale “Terremoto”. Non ho capito bene cosa fosse, ricordo fosse forte e con una palla di gelato sopra. Una coppia di cileni – seduti al tavolo accanto a noi, nella più famosa bettola cittadina (La Piojera) – ci offrì almeno altri tre giri, che fecero rischiare a V. di perdere l’aereo quella sera, e altre cose.

Nei giorni successivi continuai i miei giri nella bella capitale cilena, dove incontrai di nuovo Canada, Italia e Olanda. Visitammo insieme la Chascona, una delle case del Premio Nobel Pablo Neruda che, come le case di ogni artista, era ovviamente particolare e a suo modo lussuosa.

Mi recai poi, in solitaria, sulle due colline cittadine, o “cerros”: Cerro San Cristobal e Cerro Santa Lucia. Il primo, alto, ai bordi della città. Il secondo, più basso, letteralmente in centro, circondato dai palazzi.

Due luoghi, questi, assolutamente da non perdere, così come il Palacio de la Moneda (palazzo presidenziale), la Plaza de Armas con la sua Cattedrale, e la vecchia stazione dei treni ormai vuota, Estacion Mapocho, queste visitate il primo giorno insieme a V.

Per un pranzo assolutamente locale, c’è il mercato centrale, dove si possono trovare piatti a base di qualunque cosa: pesce, carne, vegetali.

Numerosi anche i musei cittadini, dei quali visitai unicamente il Museo de Bellas Artes, che posso reputare “particolare”.

Le differenze tra le città cilene e le città peruviane, e boliviane, erano enormi.

Nonostante la capitale cilena sia enorme (8 milioni di abitanti), non ho quasi mai sentito suonare un clacson durante la mia permanenza. Le strade erano generalmente pulite e intatte; il traffico era intenso, ma piuttosto fluido; le regole stradali vengono rispettate alla perfezione; i mezzi pubblici funzionano esclusivamente grazie ad un tesserino magnetico (non esiste alcun biglietto fisico); c’è la metropolitana; è piena di enormi parchi pubblici e giardini ben curati.

Insomma, non c’è alcun dubbio sul fatto che il Cile sia un paese molto più ricco dei suoi confinanti settentrionali. E questo nonostante la feroce dittatura di Pinochet, che lo sconvolse fino a meno di trent’anni fa (1973-1990).

Come in ogni capitale sudamericana, anche a Santiago è comune imbattersi in proteste popolari

Oggi il Cile è il paese più ricco del Sudamerica, e lo si nota ovunque (sempre tenendo a mente di essere in Sudamerica). Sul Cerro San Cristobal osservai delle semplici situazioni, alle quali non ero più abituato fin da quando avevo lasciato la Nuova Zelanda. Vidi persone godersi una giornata di sole senza lavorare, senza cercare di vendermi qualcosa, passeggiando con un gelato in mano, o arrivando in gruppo con delle bici da corsa, per scattare poi delle foto del tramonto sulla città.

Non che in Perù o Bolivia la gente non si diverta o rilassi, anzi. Ma l’impressione che ebbi quel giorno, fu che il Cile fosse assolutamente più vicino all’idea occidentale di “tempo libero” (senza stare a giudicarla in questa sede), mentre nei paesi più poveri avevo sempre notato i loro abitanti lavorare o “fare qualcosa”. Sempre.

In pochissime occasioni vidi un peruviano o un boliviano oziare, fare jogging, o passeggiare in bicicletta, se non per quelli estremamente vecchi o estremamente giovani, oppure nel centro delle città più ricche, come Santa Cruz.

Sì, lo so che anche i peruviani e i boliviani si divertono, e vanno al parco a cazzeggiare come tutte le persone del mondo. Ma a Santiago tutto questo tornò, ai miei occhi, ai livelli occidentali, sia come numero di persone cazzeggianti, che come tipo di attività ricreative.

Il gap economico tra Cile e Bolivia, quindi, è davvero sensibile in diversi campi, e lo iniziai a notare fin dopo la frontiera.

Tornando al viaggio, lasciata Santiago mi recai alla vicina Valparaìso. Questa è una vivace città portuale, molto colorata e, in effetti, famosa più che altro per i suoi infiniti murales e per le case tutte pitturate in maniera differente.

Un intero quartiere è noto come “Museo a Cielo Aperto”, per via dei primi murales e graffiti pitturati lì negli anni ’70, quando il Comune li commissionò alla locale scuola d’arte per rendere la città più originale. Oggi questa zona è messa abbastanza male, ed i vecchi graffiti, ancora presenti, non sono paragonabili (a mio avviso) ai più belli e moderni che ormai campeggiano ovunque in tutto il resto della città.

cile-galleria

Una strada a Valparaìso

A Valpo (come la chiamano i suoi abitanti) il Sudamerica è decisamente più vivo – e vivido – che nella sofisticata Santiago, e la vibrante città portualeè forse la mecca del divertimento cileno. È sgangherata, piena di cani randagi, e con odore di escrementi ogni cinquanta metri. Però, in mezzo a tutto ciò, i locali con musica dal vivo si accavallano l’uno sull’altro, così come gli ostelli, i bar ed i ristoranti (anche quelli di lusso, nelle zone più turistiche). Più in generale è percepibile una favolosa atmosfera hippie, rilassata, e divertente.

La città è tutta un saliscendi – alcuni molto ripidi – di vicoli e strade in riva al mare, e non c’è una via nella quale non ci sia un murales, o un artista di strada, o delle melodie provenire da chissà dove e, soprattutto – sempre e ovunque – il  profumo di Marijuana che pervade l’aria. Beh, Valparaìso è divertente.

Ci spesi quasi tre giorni e poi il mio viaggio dovette proseguire, sempre verso sud, per la destinazione seguente, Puerto Montt. Raggiunsi così, finalmente, la regione geografica della PATAGONIA (il diario prosegue nell’articolo dedicato).

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